domenica 1 marzo 2009

Una luce dalla finestra (p.t.4)

Jack non poteva fare a meno di guardarsi intorno e domandarsi dove mai fosse finito, mentre quella dolce fanciulla dai riccioli d’oro lo tirava per un braccio, costringendolo a seguirla. La città era qualcosa che un uomo non avrebbe mai potuto immaginare. Non c’erano automobili o motociclette o motorini, gli unici mezzi di trasporto erano rappresentati da eccentrici tipi di biciclette con tre ruote, che variavano in base al numero di persone che potevano contenere, da un minimo di un posto a un massimo di cinque. Le strade erano molto strette. Jack ricordava molto bene il viaggio fatto in Liguria quando era bambino e avrebbe potuto giurare che quella città, fatta eccezione per la pendenza, inesistente in quel luogo, fosse identica alla Porto Venere che suo padre gli fece vedere. Per il resto, aveva le cose che poteva avere una qualsiasi città, negozi, bar, sale giochi, persino una lavanderia a gettoni. Jack venne portato dalla ragazza in un vicolo non molto, ma abbastanza, distante dal locale di Alonso e, finalmente tranquilla, Sheela lo guardò con il volto ricolmo di interrogativi.
- Devi dirmi com’è - disse la ragazza.
- Com’è cosa? – rispose Jack.
- Fuori! – replicò lei – ho un milione di domande –
- Non… -
- E’ vero che non il vostro tetto è alto centinaia di chilometri e che nessuno è mai riuscito a toccarlo? –
- No… noi non… abbiamo il tetto… -
- Davvero? Ma come fate… voglio dire, dove attaccate i lampadari? –
- Abbiamo i lampioni … vengono …-
Jack si interruppe. Non credeva di poter affrontare una conversazione del genere in vita sua. Come spieghereste il mondo ad una ragazza cresciuta in una città dentro una casa?
- Vengono?- lo svegliò Sheela dalla sua trance.
- Vengono su dal terreno… dei lunghi pali con una luce in cima –
- Capisco… ma non sarebbe più comodo costruire un tetto? –
- No… altrimenti la luce solare non potrebbe illuminare le strade-
- Luce solare?-
- Il sole –
La ragazza sembrava non capire una parola di quello che Jack stesse dicendo.
- Il sole è una stella. E…-
Sul volto di Sheela si dipinse di nuovo quell’espressione di incomprensione.
- Senti, capisco che tu sia curiosa, lo sono anch’io credimi, ma ora voglio solo andarmene da qui. Dov’è l’uscita?-
- Uscita? – sorrise la ragazza – credi davvero che se avessi saputo dov’è l’uscita ti avrei fatto tutte queste domande? Non vedo l’ora di andarmene da qui, sono anni che ne cerco una, ma l’unica esistente è quella nella casa del sindaco e lui non lascia passare nessuno.-
- Dov’è la casa del sindaco? Sono sicuro che, una volta spiegata la situazione, mi farà passare-
- E’ molto distante, impiegheresti giorni senza un konfu –
- Cos’è un konfu?-
- Uno di quei cosi con le ruote, servono per trasportare le persone. Non li avete voi esterni?-
- Sì ma non sono come quelli, ma… dove posso procurarmene uno?-
- Beh, possiamo chiedere a Spitty se ci presta il suo… è un mio amico-
- Ottimo… mettiamoci in marcia –
E, detto questo, i due ragazzi ripresero a camminare, intenti a raggiungere la casa di questo Spitty.

INTERLUDIO

Nel locale si respirava aria di dolore. In tre erano rimasti in piedi dopo l’immane scazzottata di qualche minuto prima e, chi non se l’era data a gambe, era svenuto o in procinto di farlo. Alonso si guardava intorno. Riusciva a riconoscere ancora i volti delle persone pestate che tappezzavano il suo bar e, analizzando attentamente i volti massacrati dell’enorme ammasso di corpi inanimati che si lamentavano al suolo, si rese conto che due dei suoi camerieri mancavano all’appello. Non gli piacque affatto.
-Che succede buon uomo- gli chiese il biondino che, fino ad un attimo fa dispensava calci e ceffoni come un demonio. Alonso lo guardò, mise un braccio dietro al bancone, tirò fuori un fucile a pompa e lo caricò con una mano. – Sono cazzi amico!-

FINE INTERLUDIO

Giunti in prossimità di quello che doveva essere l’ingresso di un condominio, Jack e Sheela si avvicinarono all’entrata . – Siamo arrivati?- domandò Jack. – Si- rispose la ragazza. I due entrarono. All’interno si trovava una piccola sala adibita a laboratorio. I tavoli erano traboccanti di alambicchi, paioli di rame e talismani, mentre su alcuni banchi erano sollevati dei costrutti di metallo dalle forme umanoidi ma che ricordavano molto le astronavi a teiera di Buck Rogers. Incredibilmente, in quel paesaggio, Jack si sentì perfettamente a suo agio, anche se era ancora lontana la speranza di sbarazzarsi delle sue preoccupazioni. Un oggetto in particolare attirò l’attenzione del ragazzo. Uno dei tanti costrutti, sdraiati sui banchi da lavoro, aveva una conformazione facciale affabile e da sempliciotto. Osservandolo bene, a Jack quella specie di robot sembrava il tipico ciccione bontempone. – Spitty?- gridò Sheela – Vado a cercarlo, tu stai qui e non toccare niente!- e sparì dietro ad una sorta di sipario. Jack, rimasto solo nella stanza, si avvicinò al pupazzone di metallo che gli infondeva tanta sicurezza. Lo guardò un po’ e vide che quelli che in un primo momento gli sembrarono i suoi occhi, erano in realtà un paio di occhiali, mentre quei cristalli verdi che gli stavano dietro dovevano essere i suoi bulbi. Incuriosito dal fatto che un ciccione inanimato di metallo potesse aver bisogno d’occhiali, avvicinò lentamente la mano e glieli tolse, molto delicatamente; sapeva che se avesse rotto qualcosa ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze e quindi, senza far rumore, la mano si poggiò sulla stanghetta in mezzo alle lenti e, improvvisamente, il verde del diamante sparì scorrendo verso l’alto, il costrutto aveva aperto gli occhi. Seguì un secondo di silenzio, poi il costrutto si mise a gridare. Un urlo umano, terrorizzato, molto simile a quello del mostro di Frankenstein quando si trovava di fronte al fuoco, un urlo che fece svenire Jack dalla paura.
Sentendo le grida, Sheela e Spitty entrarono nella stanza.
- Maximo! Che cosa hai fatto?- domandò Spitty al robot.
- Nulla padre!- rispose la macchina – stavo catalogando gli E.S.P. come mi hai detto tu e questo carnoso mi ha tolto gli occhiali-
- Maximo... quante volte devo dirti che non si grida in faccia alle persone...-
A quel punto Sheela era riuscita a far rinvenire Jack che, aperti gli occhi si ritrovò davanti ad un ometto molto basso, sulla quarantina, vestito come uno scienziato pazzo alla World of Warcraft.
- Scusa il mio ragazzo- disse l’uomo a Jack – non ti avrebbe mai fatto del male, ma quando si mette a catalogare gli E.S.P. diventa piuttosto nervoso-
- E.S.P.? - disse il ragazzo ancora intontito.
- Sì, E.S.P., Extra Sensory Perception, sono i fenomeni che permettono di comunicare mentalmente o di prevedere il futuro, questa definizione è un po’ semplicistica, ma non ho il tempo di creare un modellino in scala -
Per quanto si sforzasse Jack non riusciva a seguire i discorsi dello scienziato.
- Ad ogni modo, Sheela mi ha detto che vieni da fuori, giusto-
- S-sì –
- Splendido, scommetto che abbiamo mille cose da imparare l’uno dall’altro, scienza, magia, medicina, geografia, storia, cultura, edilizia, se...-
- Ehm...- lo interruppe Jack - ... sono sicuro che sarebbe fantastico... ma... io devo assolutamente tornare a casa... mia madre sarà preoccupata –
- Tua madre?-
- Sì, mia madre...-
- Scusami ragazzo, ma esattamente, perchè sei qui?-
- Io... ok! Io sono Jack Hopper, ogni sera riporto la mia ragazza a casa e ogni sera vedo una villa che ha sempre la finestra illuminata, a qualsiasi ora del giorno o della notte. Bene, stasera la curiosità ha avuto la meglio e mi sono intrufolato nel giardino. Quando mi sono trovato davanti ad una porta intento ad origliare, quel barista, quel... Alonso, mi ha preso e mi ha vestito da cameriere. Sheela mi ha aiutato a scappare ed ora... ora eccomi qua...-
- Una finestra sempre illuminata?-
- Già... -
- Di sicuro proviene dalla casa del sindaco... nessun problema giovanotto! Partiremo stasera e saremo dal sindaco prima che tu possa dire... -
In quel momento, una trentina di individui dall’aria orientale fecero irruzione vestiti di tutto punto e armati di fucili talmente enormi che spingevano chi li vedeva a domandarsi come facessero a sollevarli.
- ... gli uomini di Tai Pai entrano nel laboratorio armati e contrariati- concluse Spitty.
... continua!

domenica 22 febbraio 2009

La Finestra Luminosa (p.t.3)

Il locale si componeva di tre sale, una molto lunga che si trovava alla destra di Jack, dove i clienti potevano bere circondati da scaffali di bottiglie di vino che stavano su tutti i quattro muri della stanza, un’altra, quella dove si trovava Jack, che era quella del bancone e dell’ingresso del locale, l’ultima, molto più piccola, quella che stava alla sinistra del ragazzo, dove la gente poteva fumare tranquillamente.
- Dalla stanza dell’enoteca…- gli gridò il proprietario per sovrastare l’assordante musica che si estendeva nel locale -… comincia la numerazione dei tavoli. Quello più lontano dall’entrata è il tavolo uno, poi li segui tutti quanti in ordine di posizione fino ad arrivare al tavolo quarantadue, l’ultimo della saletta fumatori. -
In quel momento una ragazzo in divisa da cameriere dall’aria scattante e visibilmente frenetico passò vicino ad Alonso, diretto verso il magazzino. – Taylor…- lo chiamò il messicano – fa vedere al ragazzo dove si trova il tavolo degli stuzzichini- .
- Non puoi chiederlo a Sheela?- rispose il ragazzo- Al sedici hanno cominciato a tirarsi lo zucchero, hanno fatto un casino incredibile…-
- Va bene, va bene…- poi, rivolgendosi a Jack – va da quella ragazza bionda e dille che deve farti vedere il tavolo degli stuzzichini, io torno al banco, c’è un sacco di lavoro da fare-.
Detto questo, Alonso si allontanò, lasciando Jack solo in mezzo ad una sorta di girone dantesco fatto a forma di bar. Il ragazzo cominciò a dirigersi verso la ragazza indicatagli dal proprietario. Dopo qualche passo sentì qualcuno che lo chiamava – Scusami…- era un cliente, ben vestito e al tavolo con una bellissima ragazza – ci porti le nostre cose? È un’ora che aspettiamo!-
- S-si un attimo…- ripresa la camminata, un altro cliente lo fermò – Cameriere, questo bicchiere è scheggiato!- Jack lo guardò con aria ingenuamente preoccupata – Ah… si è macchiato? Mi dispiace…-
- No che non mi sono macchiato, ma poteva esserci una scheggia è se fossi morto?- Jack si interrogò a lungo su cosa poter rispondere ad una domanda del genere, ma alla fine decise che la cosa migliore fosse dire – Adesso gliene porto un altro-
Di nuovo riprese il cammino ma… - Ragazzo- Questa volta era un uomo anziano vestito da giovane in compagnia di una ragazza di circa sedici anni che sembrava straniera – Cosa posso prendere per farmela dare?-
- Uh… come?-
Il tizio cominciò a ridere a crepapelle – Ah, ah. È tutta la sera che la porto in giro. Mi ha prosciugato il portafoglio e ancora non me la vuole dare. Voglio un drink che me la bagni all’istante!- e poi riprese a ridere.
Mentre Jack cercava di trovare una risposta a quella domanda, alzò lo sguardo e vide una cosa che lo terrorizzò. Ci saranno stati almeno otto soggetti, sul tragitto che avrebbe dovuto fare per raggiungere la ragazza, che lo fissavano con la tipica aria che hanno i clienti quando aspettano di chiedere qualcosa ad un cameriere: sopracciglia tirate su, mano ad altezza faccia e pronta ad alzare l’indice per richiamare l’attenzione e la bocca in posa da lettera “i”. Fu allora che Jack iniziò a non vedere più la fine della serata. Stava per rispondere al vecchio bavoso quando una mano gli si poggiò sulla spalla destra. Si girò e vide la ragazza che Alonso gli aveva indicato.
- Sei quello nuovo?-
- S-si-
- Vieni con me-
La ragazza si muoveva con disinvoltura tra i clienti che la chiamavano, ignorandoli tutti e senza dar loro la speranza che lei potesse girarsi. Jack fece lo stesso ed in poco tempo raggiunsero una sorta di anticamera che si trovava nella sala enoteca che si divideva dal locale tramite un separet. Lì c’era un tavolo pieno di ciotoline di stuzzichini.
- Come ti chiami?- Il ragazzo credeva che nessuno nel locale glielo avrebbe domandato.
- Jack… e tu?-
- Sheela. Questo è il tavolo su cui devi mettere le ciotole piene-
Jack vide un alone di malinconia sul volto della ragazza. Lei era molto graziosa, aveva i capelli del colore del grano fresco, ricci e molto voluminosi, due occhi azzurri che sembravano poter risplendere molto di più di quanto non lo stessero facendo in quel momento ed una pelle chiarissima. Tutti i camerieri del bar avevano un specie di pallore cadaverico, ma su quella ragazza sembrava soave, un altro tassello che formava la sua bellezza componibile. Con lei il ragazzo si sentiva a suo agio. Con Alonso provava uno strano senso di inquietudine, dovuto probabilmente alla stazza del soggetto, con i clienti, invece, gli sembrava di essere esposto ad un esame continuo, atto a metterlo in costante imbarazzo. Ma con Sheela si sentiva al inspiegabilmente al sicuro, come se fosse stata la sua unica alleata in quella gabbia di pazzi.
- Non dovrei essere qui- disse Jack.
- Nessuno meriterebbe di essere qui- rispose tristemente la ragazza.
- No, voglio dire che c’è stato un grave errore, io mi sono intrufolato di nascosto nel giardino, volevo scoprire perché la luce al piano di sopra e sempre accesa, poi ho cercato di origliare alla porta del magazzino e Alonso mi ha scoperto. Non sono il ragazzo che stavate aspettando ma per non far arrabbiare quella montagna di muscoli ho finto di esserlo…-
- Tu vieni da fuori?- Quelle parole giunsero a Jack come se la cosa fosse straordinaria.
- Si…-
-Ma è fantastico! È…-
La frase venne interrotta quando la musica della sala si spense improvvisamente. I due si affacciarono e videro cinque uomini vestiti di nero nel mezzo della sala e il cameriere di nome Taylor raggiungerli per accoglierli. A Jack tutto sembrava incredibile. Era una tipica scena da film, in cui i cattivi entrano in un locale, la musica si ferma e tutti i clienti si girano a guardarli.
- Buonasera signori, volete accomodarvi?- chiese Taylor. Allora uno di loro, che probabilmente era il capo, magro, arcigno e con un pizzetto alla D’Artagnan, disse: - Si… avevamo voglia di una birra-.
- Bene- disse Taylor – vi preparo subito il tavolo-.
-No- lo ghiacciò l’uomo – vogliamo quel tavolo-
L’uomo, che a Jack sembrava un becchino texano, indicò un tavolo al quale erano già sedute due persone, un tipo grasso con una barba nera e un biondino di bell’aspetto con una gran faccia da schiaffi.
Taylor, con fare da supplica, disse: - Ma quel tavolo è già occupato signor Tango, venite, ne abbiamo un altro pronto per voi-
Il becchino prese Taylor per un orecchio e se lo avvicinò al volto.
- Allora non mi hai capito tremarella! Noi vogliamo quel tavolo, quindi di a quei due di togliersi dai piedi!-
- Che succede qui?- intervenne Alonso con una voce paragonabile al rombo di un tuono.
- Questi signori vogliono sedersi a quel tavolo, ma è già occupato-
- Immagino che non sia un problema cambiare posto per far sedere il signor Tango ed i suoi amici- e detto questo, il messicano si avvicinò al tavolo dove i due occupanti, che sicuramente avevano sentito tutta la conversazione, continuavano a bere e mangiare beatamente.
Alonso si avvicinò al biondino e gli parlò talmente piano che nessuno nella sala avrebbe potuto sentire, poi si allontanò e tornò al suo posto dietro il bancone.
-Che succede cugino?- chiese il ciccione con un fare fin troppo effeminato per uno della sua stazza quando il barista si era già allontanato.
- Succede che il signore che è appena entrato vuole sedersi al nostro tavolo- rispose il biondino.
- Oh, ma questo tavolo lo abbiamo occupato prima noi-
- Lo so cugino, ma a quanto pare questo signore, Tango, è un uomo molto cattivo e va in giro per i locali a spaventare la gente-
- Ma che barbarie-
A questo punto, Tango cominciò ad avvicinarsi al tavolo dei due.
-Già, inoltre, questo signore così cattivo, finirà per fare cose molto cattive se noi non gli cediamo il posto-
-È terribile-
- Si, è terribile e molto cattivo, d’altra parte, il fatto che questo signore abbia deciso di farsi chiamare Tango, ti fa capire immediatamente che razza di stronzo egli sia- e detto questo, i due si alzarono contemporaneamente sferrando all’unisono un pugno in pieno volto al becchino che con un volo finì a pancia in su. Jack e Sheela osservavano la scena da dietro il separet ed il ragazzo era sicuro di non aver mai visto una scazzottata del genere. Di sicuro nessuno al mondo era in grado di fare le cose che faceva il biondino brandendo una stecca da biliardo e nessuno poteva sopportare un numero di sediate sulla schiena come, invece, faceva il ciccione. Sheela prese Jack per una mano- andiamo via!-
- Dove?- chiese il ragazzo – questo è il momento giusto!- rispose lei.
Dribblando i clienti impegnati nella rissa, i due riuscirono a raggiungere la porta principale e, approfittando del fatto che Alonso fosse impegnato a menare le mani, ad uscire. Jack era finalmente pronto a sentire il vento sfiorargli i capelli, avrebbe rivisto il cielo, sarebbe tornato a casa e avrebbe infine dimenticato tutta quella storia assurda. Almeno così pensava. Immaginate il suo stupore quando, una vota uscito dal locale, si ritrovò in una via con bar, negozi, saloni da barbiere e lavanderie che non aveva mai visto e, guardando verso il cielo, capì di essere in una città che sorgeva dentro la casa.
...continua

domenica 15 febbraio 2009

La Finestra Luminosa (p.t.2)

Scavalcato il cancello, Jack cominciò a procedere nell’enorme giardino che gli si stagliava davanti. Era una serata uggiosa, il giugno quell’anno era meno caldo del solito ed il cielo nuvoloso aveva sempre coperto i due innamorati durante i loro spostamenti da una casa all’altra. Forse era un’impressione, ma a Jack sembrò che nel giardino il clima fosse molto più caldo, come se l’estate avesse deciso di raggiungere quel luogo prima di altri.
Nel giardino c’era uno scivolo e due casette da gioco di plastica, questo lasciava presagire che i proprietari avessero dei bambini.
Seguendo il lastricato di granito, Jack giunse davanti ad una finestra, ci guardò dentro ma l’oscurità gli impedì di vedere qualcosa. La finestra illuminata si trovava al piano superiore. Jack osservò attentamente in cerca di un appiglio che gli permettesse di raggiungerla, ma non vide nulla.
“ Di certo non ho scavalcato un cancello per tornarmene a casa con gli stessi dubbi di prima” pensò il ragazzo mentre, intento ad appoggiare l’orecchio sulla porta, raggiungeva l’entrata posteriore.
Nel retro c’era una piccola piscinetta gonfiabile e un barbecue che avrebbe avuto bisogno di una bella pulita, era talmente nero che a Jack sembrò carbonizzato. Davanti alla porta, il ragazzo si guardò intorno, per assicurasi di non essere visto, si asciugò il sudore dalla fronte e, pian piano, avvicinò l’orecchio per appoggiarlo sul quel legno odoroso. Niente. Nessun suono. O i proprietari stavano dormendo o non si trovavano in casa. Ascoltando meglio, Jack sentì qualcosa. Erano passi. Qualcuno stava camminando. È incredibile come la cosa più normale del mondo, dei passi appunto, possano sembrare un complotto contro le nazioni quando ci si trova in furtività. Jack ascoltò quei passi come fossero le coordinate del missile che avrebbe fatto esplodere la sua città. Sentì ogni minimo spostamento, riusciva quasi a riconoscere le superfici su cui si poggiavano i piedi, toc, toc, toc…pensò di essere in una sorta di trance quando, ad un tratto, la porta si aprì.
Il primo pensiero che attraversò la mente di Jack fu “vorrei morire”. Fino ad un momento prima, Jack era un ragazzo estremamente corretto, di una bontà quasi disgustosa. Una persona che non avrebbe mai nemmeno pensato di buttare una lattina nel bidone della carta, figuriamoci di entrare di soppiatto in una casa. Quella dannata finestra l’aveva spinto a questo, per una volta che faceva una cosa stupida si è ritrovato a pagarne le conseguenze. Con quel poco di voce che gli venne cercò di giustificarsi – Mi scu…-
-Ma dove diavolo eri finito? Sono ore che ti aspetto!- lo interruppe l’omone che aveva aperto la porta. – Io…- cominciò Jack senza avere la più pallida idea di cosa rispondere – Non mi interessa- venne interrotto di nuovo da questa figura imponente – ora vieni, i clienti non si servono da soli-
Senza nemmeno rendersene conto, il ragazzo venne afferrato per un braccio e trascinato dentro la casa da un tizio che, se avesse voluto, avrebbe potuto trainare tre camion con i denti.
-Seguimi- disse l’uomo. Jack ritenne che la cosa migliore da fare in quel momento fosse parlare poco e fare tutto quello che gli venisse detto. Mentre seguiva l’energumeno, il ragazzo riuscì ad osservarlo meglio grazie alla luce della casa. Doveva essere di origine messicana, aveva dei capelli lunghi molto unti, di un nero luccicante e profondo, un paio di baffi da motociclista metallaro, uno smanicato di pelle che lasciava vedere gli infiniti tatuaggi sulle braccia muscolosissime, pantaloni a vita alta attillati, anch’essi di pelle e un paio di stivali di coccodrillo con la punta placcata in oro.
Giunsero in una saletta che aveva tutta l’aria di essere un magazzino. C’erano scatoloni contenenti pacchetti di patatine, barattoli di olive in salamoia, confezioni di arachidi, ogni tipo di liquore che possa venie in mente, un surgelatore per gelati e scorte infinite di tovagliolini. Il messicano prese una maglietta nera ed una parallanza e li tirò a Jack. – Quando saremo in sala- cominciò l’energumeno – ti spiegherò la numerazione dei tavoli. Tieni presente che il banco ha la priorità su tutto e che quando mi senti urlare “marcia” vuol dire che i cocktail sono pronti e devi venire a prenderli per portarli ai tavoli. Quando un tavolo si libera, deve essere “sbarazzato”, vuol dire che prendi un vassoio e togli tutto quello che c’è sopra, ti ho dato una spugnetta?-
-No-
-Prendi questa- Tirò fuori una spugna di un blu intenso e la diede a Jack.
-Quando hai sbarazzato il tavolo devi pulirlo con quella spugnetta, perché se qualcuno ha rovesciato il suo drink sul tavolo, rimane appiccicaticcio e io no ci faccio una bella figura. Poi porti i bicchieri vuoti al banco dove qualcuno li metterà in lavastoviglie. Quando invece vedi le ciotoline degli stuzzichini vuote, le prendi e le porti qui, in magazzino, dove le riempi e le metti su un banco che ti farò vedere. Tutto chiaro?-
Jack assunse un’espressione che non sarebbe stata catalogabile nella lista di quelle intelligenti. – Questo è… un bar?- chiese titubante – senti ragazzo…- rispose l’uomo- qui non si scherza. Abbiamo tonnellate di clienti ogni sera, una media di tre compleanni a settimana e una rissa al giorno. Qui si deve essere scattanti, veloci, non sei più nemmeno un essere umano, sei una macchina, fai quello che ti si dice, non fare viaggi a vuoto, sii cortese con i clienti e ti assicuro che ti troverai molto bene qui, ma se fai una stronzata…- Jack cominciò a sudare freddo osservando quella montagna umana diventare scura in volto – beh, la porta si muove avanti e indietro, ricordatelo. Ripeto: tutto chiaro?-
-Chiaro- rispose Jack.
-Bene… comunque io mi chiamo Alonso, sono il capo qui, quindi per qualsiasi cosa chiedi a me. Benvenuto a bordo-
Detto questo, i due si diressero verso una porta che venne aperta dal messicano. Nell’altra stanza, Jack si trovo in mezzo al delirio: una massa sconfinata di persone sedute ai tavoli, molte delle quali ubriache e venivano servite da camerieri vestiti come lui che stavano visibilmente sull’orlo di una crisi di nervi, il tutto sulle note di una musica da discoteca assordante che impediva alla gente di sentirsi e la spingeva, quindi, ad urlare più forte.
...continua

venerdì 6 febbraio 2009

La finestra luminosa (p.t.1)

- Adoro il profumo della tua pelle- disse Jack mentre Lisa si rimetteva le mutandine lanciate poco prima. - Vorrei non dovermene mai andare- Rispose la ragazza teneramente. Il loro primo mese di fidanzamento ed era quello che loro chiamavano mesiversrio. Erano così innamorati l'uno dell'altra, un amore genuino, fanciullo, basato su cose semplici ma così salde, pensavano, che neanche Dio avrebbe potuto infrangerlo.
Erano soliti passare le loro serate così, a casa di lui. Qualche volta guardavano un film, qualche volta chiacchieravano di qualsiasi argomento ma c'era una cosa che facevano tutte le sere. In tutte le loro serate si univano in un turbine di sentimento e passione proprio dell'uomo che tenta di avvicinarsi il più possibile al paradiso. Tutte le sere facevano l'amore.
- Sono pronta- disse Lisa. Jack indossò il suo cappotto logoro, prese la mano della sua ragazza e, con lei, scese in strada. I due percorrevano la stessa strada ogni notte. Lisa non abitava molto lontano da Jack e lui non si fidava a mandarla a casa tutta sola, nonostante sapesse benissimo che quello fosse un quartiere più che tranquillo. Ogni sera la stessa strada e ogni sera Jack faceva caso a qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Una villetta che stava esattamente a metà strada tra la sua casa e quella di Lisa aveva una strana peculiarità. Una finestra era sempre illuminata. Se passassimo lì davanti alle quattro di notte o a mezzogiorno, vedremmo la luce di quella stanza sempre accesa. Quando Jack camminava davanti alla villa, smetteva automaticamente di pensare a qualsiasi cosa avesse avuto per la testa prima di quel momento e si metteva a fissare la finestra. - Chissà perché la luce di quella stanza è sempre accesa?- domandò - esattamente come ieri e ieri l'altro- rispose Lisa - ed esattamente come ieri e ieri l'altro non ne ho la più pallida idea-. Jack fece un sorriso - sono solo curioso. Voglio dire, a te non sembra strano?- Lisa scosse la testa dolcemente -certo che è strano ma, fondamentalmente, chissenefrega?-
Jack non la pensava così. Continuò a tormentarsi per tutto il tragitto, cercando di dare una spiegazione a quell'arcano. Arrivati a casa di Lisa, i due, come di consueto, si diedero un bacio che spiegava meglio di mille discorsi quanto avrebbero preferito morire entrambi piuttosto che dividersi. Dopo una buonanotte da romanzetto rosa, Jack si ritrovò solo, intento a tornare a casa sua. Anche la via del ritorno prevedeva passare davanti alla casa dalla finestra illuminata e, giunto lì davanti, il ragazzo arrestò la sua marcia. "Ci deve essere un motivo" pensò "deve essere un bel costo avere la luce sempre accesa in casa, perché mai lo faranno?". Jack si guardò intorno. Come sempre, era l'unico passante su quella strada e, raccogliendo la determinazione attraverso poderosi respiri, giunse davanti al cancello della villa, intento ad entrare nel giardino... continua.

mercoledì 21 gennaio 2009

La storia di un uomo nudo che vuole far saltare il cervello a cinque o sei stronzi satanici

Saranno stati cinque demoni, o sei. Se n'era ritrovato uno con il fucile spianato sotto la doccia e, visto il rumore che fanno di solito mentre respirano, dovevano essere di una qualche tribù guerriera, quindi addestrati agli attacchi a sorpresa, altrimenti li avrebbe sentiti arrivare. Non gli importava ora. Piuttosto si domandava perchè proprio quel giorno. Tra tutti i maledetti momenti in cui dei demoni guerrieri avrebbero potuto far irruzione in casa sua lo hanno fatto proprio il giorno in cui ha smesso di fumare.
- Cazzo!- sibilava - cazzo- mentre, completamente nudo impugnava l'arma che, anni fa, gli diede il nome: un blaster F3. Potrei dilungami a spiegare come Blaster abbia ricevuto questo nome, quanto tempo ha impiegato per imparare a sparare, chi glielo ha insegnato o quante altre volte abbia detto "cazzo" mentre caricava l'arma, ma è una storia che ora non ci deve interessare, la cosa importante ora è che una manciata di demoni sono entrati in casa sua per farlo fuori, il giorno in cui ha smesso di fumare. Questa è la storia di un uomo nudo che vuole far saltare il cervello a cinque o sei stronzi satanici.
Neanche a dirlo, i demoni non sapevano muoversi come lui. Troppo grossi. Troppe corna. Lo avevano attaccato in casa sua, un ambiente in cui ha imparato a muoversi e questo era il primo dei loro errori. Il secondo era di aver portato dei mosin nagant per compiere l'operazione, un fucile pregevole, ma con uno scatto di ricarica piuttosto rumoroso per un'imboscata, cosa che permetteva a Blaster di individuare le loro posizioni.
Quando ha trovato il primo demone, lo ha visto caricare l'arma con una violenza che lo ha fatto incazzare. "Il fucile è l'unica puttana di cui ti puoi fidare" gli disse suo padre "non maltrattarlo e sarà sempre pronto a salvarti il culo". Blaster era abbarbicato alle tubature esposte del soffitto mentre vedeva il demonio che infilava proiettili nel ferro. Strisciandogli perfettamente sopra riusciva a vedere le tozze dita che con forza spingevano nella canna. A quel punto ha lasciato la presa che lo teneva sul soffitto e gli è caduto alle spalle, una caduta tale da fargli mettere il blaster sul collo del suo nemico per strangolarlo. Ci sono voluti un paio di minuti prima che al mostro uscisse il sangue dagli occhi, ma il risultato era soddisfacente, Blaster vivo. Demone morto.
Ad un tratto i grugniti degli altri bastardi si sono fatti più vicini. Naturalmente avevano sentito i rumori di lotta e si stavano dirigendo verso il luogo da cui provenivano. Blaster si era messo dietro ad uno dei bidoni per la raccolta differenziata che aveva comprato ma che non aveva mai usato e vedeva i due stronzi arrivare ed assumere una faccia incazzata alla vista del cadavere del compagno. E' stato in quel momento che ha visto una cosa che lo ha reso felice (per quanto felice possa essere un uomo nudo a cui sono entrati i demoni in casa). Uno dei due mostri aveva un lanciafiamme che prendeva gas da una bombola che portava dietro la schiena. Un bel colpo di blaster F3 e... boom! Barbecue di diavolo.
Ha fatto una bella capriola su un fianco (azione che gli ha sballottato i gioielli di famiglia in maniera non del tutto indolore) ha preso la mira e ha sparato. L'esplosione è stata maestosa, solenne e definitiva, anche se lo spostamento d'aria ha fatto sbattere Blaster contro la parete alle sue spalle spezzandogli qualcosa che non ha saputo specificare.
Un po' dolorante, mentre si stava rialzando l'ammazza mostri ha visto altri due demoni raggiungere il corridoio.
- Chi vuole baciare lo chef?- ha urlato mentre i suoi proiettili perforavano il cranio di uno e la spalla dell'altro. Il demone ferito ha provato a rispondere al fuoco, ma Blaster è riuscito a schivare tutti i colpi nemici in una corsa verso il mostro, culminata in un maestoso balzo. Il demone guardava allibito la scena mentre quest'uomo nudo gli infilava la canna del fucile in bocca e premeva il grilletto, dall'alto verso il basso, facendogli cagare tutti i suoi organi.
Un po' acciaccato ma ancora vivo, il più grande ammazza mostri del mondo si rialzava in piedi asciugandosi gli occhi dal sangue delle sue vittime.
- Che darei per una sigaretta-.
E' stato allora che ha trovato i suoi vestiti in terra. Li ha indossati e si è diretto all'uscita. Aperta la porta ha visto una cosa che non avrebbe voluto vedere. Un esercito di demoni armati di mosin nagant puntati verso di lui.
-Fuoco- l'urlo di quello che doveva essere il loro capo ha rotto il silenzio e una pioggia di proiettili si è scagliata contro Blaster.
-Merda!- Era in terra morente quando ha realizzato di non essere stato lui a dirlo. Ha guardato nella direzione da cui veniva la voce e ha visto... "Deve essere l'inferno" ha pensato, ma non ne era convinto. Quello che vedeva era un'enorme vetrina sospesa in aria con una scritta rossa stampata sopra che recitava "REVO EMAG". Dietro alla vetrina c'era un ragazzo. Sembrava arrabbiato.Blaster cercava di capire cosa fosse quella cosa, che cosa significasse. Ma, ad un tratto, ha compreso che non gli importava e, aspettando che la morte lo caricasse nel suo carro nero, ha capito che cosa fosse tutto quello: - La degna conclusione di una giornata di merda-.
E detto questo tutto è diventato nero.

mercoledì 14 gennaio 2009

Mattoni

Un vecchio appoggia la mano sul muro.
-Nick...- sussurra quando la sua mano tocca il mattone gelido. Poi la mano scorre. La guida verso il basso. Supera l'impercettibile cunetta che divide i due mattoni e tocca quello sottostante.
- Johnson- e ancora la sua mano si sposta, questa volta verso sinistra. Tocca un terzo mattone.
- Mac Grant... eccoli qui i miei amici-.
La sua mano poggiata sul muro gli sembra deformata, poi si rende conto che sono le lacrime che si affollano nei suoi occhi ad ondulare l'immagine, ma nemmeno adesso stacca la mano dal muro.
Nemmeno quando le vecchie dita entrano nei fori di proiettile.