domenica 15 febbraio 2009

La Finestra Luminosa (p.t.2)

Scavalcato il cancello, Jack cominciò a procedere nell’enorme giardino che gli si stagliava davanti. Era una serata uggiosa, il giugno quell’anno era meno caldo del solito ed il cielo nuvoloso aveva sempre coperto i due innamorati durante i loro spostamenti da una casa all’altra. Forse era un’impressione, ma a Jack sembrò che nel giardino il clima fosse molto più caldo, come se l’estate avesse deciso di raggiungere quel luogo prima di altri.
Nel giardino c’era uno scivolo e due casette da gioco di plastica, questo lasciava presagire che i proprietari avessero dei bambini.
Seguendo il lastricato di granito, Jack giunse davanti ad una finestra, ci guardò dentro ma l’oscurità gli impedì di vedere qualcosa. La finestra illuminata si trovava al piano superiore. Jack osservò attentamente in cerca di un appiglio che gli permettesse di raggiungerla, ma non vide nulla.
“ Di certo non ho scavalcato un cancello per tornarmene a casa con gli stessi dubbi di prima” pensò il ragazzo mentre, intento ad appoggiare l’orecchio sulla porta, raggiungeva l’entrata posteriore.
Nel retro c’era una piccola piscinetta gonfiabile e un barbecue che avrebbe avuto bisogno di una bella pulita, era talmente nero che a Jack sembrò carbonizzato. Davanti alla porta, il ragazzo si guardò intorno, per assicurasi di non essere visto, si asciugò il sudore dalla fronte e, pian piano, avvicinò l’orecchio per appoggiarlo sul quel legno odoroso. Niente. Nessun suono. O i proprietari stavano dormendo o non si trovavano in casa. Ascoltando meglio, Jack sentì qualcosa. Erano passi. Qualcuno stava camminando. È incredibile come la cosa più normale del mondo, dei passi appunto, possano sembrare un complotto contro le nazioni quando ci si trova in furtività. Jack ascoltò quei passi come fossero le coordinate del missile che avrebbe fatto esplodere la sua città. Sentì ogni minimo spostamento, riusciva quasi a riconoscere le superfici su cui si poggiavano i piedi, toc, toc, toc…pensò di essere in una sorta di trance quando, ad un tratto, la porta si aprì.
Il primo pensiero che attraversò la mente di Jack fu “vorrei morire”. Fino ad un momento prima, Jack era un ragazzo estremamente corretto, di una bontà quasi disgustosa. Una persona che non avrebbe mai nemmeno pensato di buttare una lattina nel bidone della carta, figuriamoci di entrare di soppiatto in una casa. Quella dannata finestra l’aveva spinto a questo, per una volta che faceva una cosa stupida si è ritrovato a pagarne le conseguenze. Con quel poco di voce che gli venne cercò di giustificarsi – Mi scu…-
-Ma dove diavolo eri finito? Sono ore che ti aspetto!- lo interruppe l’omone che aveva aperto la porta. – Io…- cominciò Jack senza avere la più pallida idea di cosa rispondere – Non mi interessa- venne interrotto di nuovo da questa figura imponente – ora vieni, i clienti non si servono da soli-
Senza nemmeno rendersene conto, il ragazzo venne afferrato per un braccio e trascinato dentro la casa da un tizio che, se avesse voluto, avrebbe potuto trainare tre camion con i denti.
-Seguimi- disse l’uomo. Jack ritenne che la cosa migliore da fare in quel momento fosse parlare poco e fare tutto quello che gli venisse detto. Mentre seguiva l’energumeno, il ragazzo riuscì ad osservarlo meglio grazie alla luce della casa. Doveva essere di origine messicana, aveva dei capelli lunghi molto unti, di un nero luccicante e profondo, un paio di baffi da motociclista metallaro, uno smanicato di pelle che lasciava vedere gli infiniti tatuaggi sulle braccia muscolosissime, pantaloni a vita alta attillati, anch’essi di pelle e un paio di stivali di coccodrillo con la punta placcata in oro.
Giunsero in una saletta che aveva tutta l’aria di essere un magazzino. C’erano scatoloni contenenti pacchetti di patatine, barattoli di olive in salamoia, confezioni di arachidi, ogni tipo di liquore che possa venie in mente, un surgelatore per gelati e scorte infinite di tovagliolini. Il messicano prese una maglietta nera ed una parallanza e li tirò a Jack. – Quando saremo in sala- cominciò l’energumeno – ti spiegherò la numerazione dei tavoli. Tieni presente che il banco ha la priorità su tutto e che quando mi senti urlare “marcia” vuol dire che i cocktail sono pronti e devi venire a prenderli per portarli ai tavoli. Quando un tavolo si libera, deve essere “sbarazzato”, vuol dire che prendi un vassoio e togli tutto quello che c’è sopra, ti ho dato una spugnetta?-
-No-
-Prendi questa- Tirò fuori una spugna di un blu intenso e la diede a Jack.
-Quando hai sbarazzato il tavolo devi pulirlo con quella spugnetta, perché se qualcuno ha rovesciato il suo drink sul tavolo, rimane appiccicaticcio e io no ci faccio una bella figura. Poi porti i bicchieri vuoti al banco dove qualcuno li metterà in lavastoviglie. Quando invece vedi le ciotoline degli stuzzichini vuote, le prendi e le porti qui, in magazzino, dove le riempi e le metti su un banco che ti farò vedere. Tutto chiaro?-
Jack assunse un’espressione che non sarebbe stata catalogabile nella lista di quelle intelligenti. – Questo è… un bar?- chiese titubante – senti ragazzo…- rispose l’uomo- qui non si scherza. Abbiamo tonnellate di clienti ogni sera, una media di tre compleanni a settimana e una rissa al giorno. Qui si deve essere scattanti, veloci, non sei più nemmeno un essere umano, sei una macchina, fai quello che ti si dice, non fare viaggi a vuoto, sii cortese con i clienti e ti assicuro che ti troverai molto bene qui, ma se fai una stronzata…- Jack cominciò a sudare freddo osservando quella montagna umana diventare scura in volto – beh, la porta si muove avanti e indietro, ricordatelo. Ripeto: tutto chiaro?-
-Chiaro- rispose Jack.
-Bene… comunque io mi chiamo Alonso, sono il capo qui, quindi per qualsiasi cosa chiedi a me. Benvenuto a bordo-
Detto questo, i due si diressero verso una porta che venne aperta dal messicano. Nell’altra stanza, Jack si trovo in mezzo al delirio: una massa sconfinata di persone sedute ai tavoli, molte delle quali ubriache e venivano servite da camerieri vestiti come lui che stavano visibilmente sull’orlo di una crisi di nervi, il tutto sulle note di una musica da discoteca assordante che impediva alla gente di sentirsi e la spingeva, quindi, ad urlare più forte.
...continua

1 commento:

  1. Ma...Ma, cioè, io mi apettavo la cosa horror,inquietante, lui che diventa fantasma. Ci hai fatto stare tuttti con la suspense, e lui si ritrova a fare il cameriere.
    Ottima mossa. Bravo. Complimenti.
    E continua ancora, sono curioso.

    Ma in pratica,Alonso è come quell'attore di cui hai messo la foto là sopra? Quello di C'era una volta il Messico?

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